RIVISTA
STORICA VIRTUALE
LE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO
SECONDO ENGELS
a cura di Michele
E. Puglia
SOMMARIO:
PREMESSE;
Il cristianesimo non è
sorto all’improvviso a seguito delle predicazioni
di
Cristo, ma come Enghels dimostra, era andato
maturando
tra le moltitudini di
reietti, diseredati, schiavi e tribolati
senza
futuro e senza speranza di un domani migliore su questa terra.
La soluzione per fare
uscire questa umanità disperata da tale abbrutimento
era posta
nell’idea che si era fatta strada, di
una vita dopo la morte del corpo,
che
sarebbe continuata per l’anima in un altro mondo, nel mondo dell’al di là.
La parte più sostanziale in
questo processo evolutivo, scrive Engels,
l’aveva
avuta il filosofo ebreo Filone della scuola di Alessandria da dove era partito
il fulcro
delle
elaborazioni che si erano trasfuse nella religione cristiana,
del
patrimonio della filosofia greco-romana, platonica e specialmente stoica.
Il cristianesimo prese sul
serio il premio e la punizione nell’aldilà, creò il cielo
per
gli afflitti, i tribolati e gli oppressi che acquistavano meriti in questo
mondo e l’inferno
per
i reprobi e così si diffuse nel mondo intero.
Non
ma
Alessandria, Roma e soprattutto l’Egitto, scrive Engels riprendendo Bauer.
Nella lunga maturazione del
cristianesimo erano entrati elementi ebraici, greco-alessandrini
ma
anche puramente greci e greco-romani.
Sono stati tutti questi
elementi che hanno permesso al
cristianesimo
di diventare una religione mondiale.
E’ da sfatare la leggenda
del cristianesimo sorto bell’e
pronto dall’ebraismo della Palestina
per
conquisare il mondo con una dogmatica ed etica già
fissate nelle sue linee essenziali.
Engels nel suo articolo non
aveva curato l’aspetto più immediato della
influenza
della filosofia platonica e successivamente del neoplatonismo
al
quale il cristianesimo deve moltissimo relativamente alla parte dottrinaria,
come lo deve
alle
dottrine di Aristotele penetrate in Occidente tra il XII e XIII secolo per
merito dei
filosofi
arabi (v. Articoli: La scienza araba alle origini della cultura occidentale), e considerato
inizialmente
dalle autorità ecclesiastiche “quel pagano ateo”,
per
poi essere stato utilizzato dai grandi pensatori della scolastica e
particolarmente
da
Tommaso d’Aquino, il quale aveva dato l’assetto
definitivo alla dottrina cattolica, prendendo dal pensiero aristotelico tutto
ciò che poteva servire, tanto da
poter
affermare che la costruzione della teologia e filosofia aristotelica
costituiscono il
fondamento
della dottrina cristiana e cattolica.
Tornando a Platone, si
pensi all’Artefice-Demiurgo-Artigiano
che mette ordine al caos primordiale
separando
i quattro elementi originari fuoco, aria, acqua terra,
che
diventa il Dio monocratico del cristianesimo o al
mondo delle Idee platonico che diventa il Verbo-Figlio o l’anima
cosmica che diventa lo Spririto Santo,
il
tutto dando luogo al concetto di Trinità;
all’anima
che se si è comportata bene sulla terra che sale nelle sfere celesti
dove
condurrà vita felice.
Mentre in Roma e in Grecia le
altre religioni erano tolleranti,
non
lo erano in Asia minore dove erano sottoposte a divieti che costituivano
una
vera e propria segregazaione e avevano contribuito
non poco alla loro decadenza.
Infatti
persone di due religioni diverse potevano appena parlare insieme
ma
non mangiare, bere o compiere insieme una qualsiasi altra azione.
Il merito del cristianesimo,
scrive Engels, rispetto a queste altre religioni alle quali
nel
tempo si era sostituito,
è
stato quello che la nuova religione si rivolgeva e accomunava i popoli, senza
distinzione,
diventando così la
prima religione possibile.
PREMESSE
Friederich Engels aveva
meditato tre articoli sulle origini del cristianesimo primitivo nell’arco di cinquant’anni, i primi due pubblicati tra il 1883 e 1895 su
riviste tedesche e inglesi; il terzo, “Per la storia del cristianerimo
primitivo”, sarebbe
stato pubblicato su “Neue Zeit”
(organo della socialdemocrazia tedesca) diretta da Kautsky”
(sarebbe stato poi tradotto pressocché in tutte le lingue), accompagnato da una
lettera all’editore in cui spiegava appunto di aver impiegato cinquant’anni e oramai per la pubblicazione …non c’era più alcuna
fretta!
Essi sono stati raccolti e pubblicati in un libretto intitolato
“Sulle origini del cristianesimo” da Editori Riuniti (1986).
Questi articoli, oltre ad essere un
capolavoro di saggistica lucida e chiara, costituiscono opera fondamentale per qualsiasi
studioso di storia delle religioni che per uno studio scientifico (che non sia
apologetico o letterario), non potrà fare a meno di consultare e meditare.
Engels introduce l’argomento con un paragone
con il movimento operaio socialista, affermando che come questo, il
cristianesimo alle origini era un movimento di oppressi essendosi manifestato come
religione degli schiavi e dei liberi, dei poveri e dei senza diritti e dei
popoli soggiogati e dispersi da Roma.
Entrambi, cristianesimo e socialismo,
scriveva Engels, predicano un imminente riscatto dalla schiavitù e dalla
miseria. Però, mentre il cristianesimo pone questo riscatto in una vita
nell’aldilà, in cielo dopo la morte, il socialismo lo pone in questo mondo in
una trasformazione della società.
Entrambi sono stati perseguitati e braccati
e i loro seguaci messi al bando, colpiti da leggi eccezionali, gli uni come
nemici del genere umano, gli altri come nemici dell’impero, della religione,
della famiglia, dell’ordine sociale.
Nonostante tutte le persecuzioni, anzi
favoriti proprio da esse, entrambi sono avanzati
vittoriosamente, irresistibilmente. Il cristianesimo, trecento anni dopo il suo sorgere, era
divenuto religione di Stato riconosciuta dall’impero mondiale romano; il
socialismo in sessant’anni (siamo nel 1883 ndr.) ha conquistato una posizione che gli assicura
assolutamente la vittoria.
Il parallelo, spiega Engels, tra i due
fenomeni storici, si impone già nel medioevo, nelle prime sollevazioni di
contadini oppressi e in particolare delle plebi delle città.
Queste sollevazioni, come tutti i movimenti
di massa del medioevo, portavano necessariamente una maschera religiosa,
apparivano come restaurazioni del cristianesimo primitivo degenerato da secoli,
ma di regola, dietro l’esaltazione religiosa si nascondevano interessi mondani
molto forti.
Nella forma più grandiosa, questo processo si verificò con
l’organizzazione dei taboriti boemi,
sotto la guida di Jan Žižka
(seguace e successore di Jan Hus
1360/70-1424; v. L’Europa verso la fine del medioevo, P.II),
continuando per tutto il medioevo fino ad assopirsi dopo la guerra tedesca dei
contadini (1524-1526), per risvegliarsi di nuovo con i comunisti operai dopo il
1830.
Ritornando al cristianesimo primitivo, Engels spiega che
una delle fonti migliori sui primi cristiani egli ritiene sia Luciano di Samosata (ultimo scrittore greco vissuto tra il 130 e il
200 n.e. ndr.) che
definisce il Voltaire dell’antichità classica, il quale,
secondo la sua opinione, mantenne un atteggiamento
ugualmente scettico dinanzi ad ogni sorta di superstizione religiosa e non
aveva alcun motivo né di ordine religioso pagano, né politico, per trattare i crtistiani diversamente da qualsiasi altra associazione
religiosa. Al contrario, precisa Engels, egli li canzona tutti a causa della
loro superstizione, gli adoratori di Giove non meno degli adoratori di Cristo.
Secondo il punto di vista di Luciano, che Engels considera
“superficialmente razionalistico”, un
tipo di superstizione non è meno sciocco dell’altro. Questo testimone, in ogni
caso imparziale, prosegue Engels, racconta tra l’altro la storia di Peregrino,
un avventuriero che si faceva chiamare Proteo ed era originario di Pario sull’Ellesponto.
Peregrino aveva esordito nella sua giovinezza in Armenia
con un adulterio, ma fu colto sul fatto e linciato secondo i costumi del luogo.
Scampato al linciaggio, dopo aver strangolato il padre, dovette fuggire.
Peregrino aveva imparato la dottrina dei cristiani dai sacerdoti
e scribi che aveva frequentato quando era in
Palestina. In breve tempo fece tali progressi che i suoi maestri sembravano
fanciulli al suo confronto. Divenne profeta anziano della comunità, capo della
sinagoga, insomma tutto: spiegava le scritture e ne scriveva egli stesso in
gran numero, tanto che alla fine credettero di vedere
in lui un essere superiore
e lo nominarono preside (vescovo).
A causa di ciò Proteo-Peregrino fu arrestato dall’autorità
e gettato in carcere. Mentre giaceva in catene, i cristiani ai quali il suo
arresto sembrava una grande sventura, fecero tutto il possibile per liberarlo.
Ma non vi riuscirono ed
essi cercarono di prestargli la massima assistenza con la più straordinaria
sollecitudine.
Già allo spuntare del giorno si vedevano vecchierelle,
vedove, orfanelli aspettare con ansia davanti alla porta della prigione. I più
ragguardevoli cristiani corrompevano perfino i carcerieri e passavano intere
notti con lui; gli portavano i pasti, leggevano insieme i libri sacri. In
breve, Peregrino fu considerato un altro Socrate.
Persino dalle città dell’Asia minore si presentavano delegati delle comunità
cristiane per porgergli una mano soccorrevole, per
confortarlo e per assumere la sua difesa davanti al tribunale.
E’ incredibile, commentava Luciano, come questa gente si prodighi immediatamente quando capita qualcosa che riguarda
la loro comunità: in tali casi non risparmiano né fatica né spese.
Anche a Peregrino arrivarono denari da tutte le parti,
tanto che la prigione diventò una fonte di larghe entrate.
Quella povera gente, proseguiva Luciano, è convinta di
essere immortale di corpo e di anima e di poter vivere per tutta l’eternità.
Per cui avviene che essi disprezzano la morte e molti di loro addirittura si
offrono ad essa volontariamente.
Il loro primo legislatore ha fatto poi sorgere in essi la convinzione di essere fratelli non appena si sono
convertiti, cioè abbiano rinnegato gli
dei greci e si siano dedicati all’adorazione di quel sofista crocifissso, e vivono secondo i suoi precetti. Quindi essi
disprezzano senza distinzione tutti i beni esteriori e
li possiedono in comune: dottrine queste che hanno acettato
ingenuamente e per fede, senza verificarle e senza prove. E se si presenta loro
un abile imbroglione che con astuzia sa approfittare delle circostanze, può
riuscire in breve tempo a diventare ricco sfondato e ridere di quegli ingenui
semplicioni.
Del resto Peregrino fu rimesso in libertà dal Prefetto di
Siria di quel tempo. Egli se ne andò per la seconda volta da Pario per fare il vagabondo. Riceveva tutto l’occorrente
dalla bonarietà dei cristiani che dovunque gli servivano
da accompagnatori e non gli facevano mancare nulla.
Per qualche tempo fu così pasciuto, ma quando trasgredì le
leggi cristiane (lo avevano visto mangiare qualcosa di proibito), fu espulso
dalla comunità.
Riprendendo le sue considerazioni, Engels prosegue. Tutti
quegli elementi che il processo di dissoluzione del mondo antico aveva messo in
libertà, che cioè aveva sfrattato, entravano l’uno dopo l’altro nella sfera di attrazione
del cristianesimo come l’unico elemento che resisteva a questo processo di dissoluzione,
perché ne era appunto il necessario prodotto e che perciò permaneva e cresceva,
mentre gli altri elementi erano soltanto mosche effimere.
Non c’era fantasticheria, pazzia, imbroglio che non si infiltrasse nelle giovani comunità cristiane, che non
trovasse temporaneamente, almeno in alcuni luoghi, orecchie disposte e fedeli
volenterosi. E come nelle prime comunità operaie comuniste, anche i primi
cristiani erano di una inaudita credulità per le cose
che toccavano la loro vita di ogni giorno, tanto che non siamo neppure sicuri
che dal gran numero di “scritture” di Peregrino stese per la cristianità,
questo o quel frammento non sia finito per errore nel nostro Nuovo Testamento.
Engels considera la critica biblica tedesca (che prende in
considerazione fino al suo tempo ndr.), l’unica base
scientifica della conoscenza del cristianesimo primitivo; in essa,
egli scrive, si possono distinguere due correnti.
1. La prima è quella della scuola di Tubinga
alla quale è da assegnare David Friederick Strauss (v. nota 1. Schede: Stato e Spirito del popolo
secondo Shelling ed Hegel).
Nell’indagine cristiana questa arriva fin dove può
arrivare una scuola teologica. Essa ammette che i quattro Vangeli non sono
relazioni di testimoni oculari, ma rielaborazioni
tarde di scritti perduti (o racconti orali, come è stato successivamente
affermato ndr.) e che delle lettere attribuite
all’apostolo Paolo, al massimo quattro sono autentiche.
Essa cancella dalla narrazione storica, come
inammissibili, tutti i miracoli e tutte le contraddizioni, ma nel rimanente
cerca di “salvare il salvabile”, e qui appare il suo carattere di “scuola
teologica”.
Engels, a questo punto critica “Le origini del crtistianesimo” di E. Renan che si fonda su di essa, di “salvare” con lo stesso
metodo, ancora il molto eliminato dalla scienza, imponendoci come storicamente
accertate oltre a molte narrazioni neotestamentarie più che dubbie, una
quantità di leggende di martiri.
2. L’altra corrente è rappresentata da un solo uomo: Bruno
Bauer.
Il suo grande merito, scrive
Engels, va visto non solo in una critica spregiudicata dei Vangeli e delle
lettere apostoliche, ma anche nell’aver impostato per la prima volta seriamente
la ricerca non solo degli elementi ebraici e greco-alessandrini,
ma anche quelli puramente greci e greco-romani che hanno permesso al
cristianesimo di diventare religione mondiale.
La leggenda del cristianesimo sorto bell’e
pronto dall’ebraismo partito dalla Palestina per conquistare il mondo con una
dogmatica e un’etica già fissate nelle sue linee essenziali, è diventata
impossibile dopo Bruno Bauer. Solo nelle facoltà
teologiche essa può ancora continuare a vegetare e fra gente che “vuole conservare la religione del popolo”
anche a spese della scienza.
La parte enorme che la scuola di Filone ad Alessandria e
la filosofia volgare greco-romana, platonica e specialmente stoica, hanno avuto
nella formazione del cristianesimo, che sotto Costantino diventò religione di
Stato, è ancora ben lungi dall’essere accertata nei paricolari, ma la sua esistenza è dimostrata per merito di Bauer, secondo il quale il cristianesimo non è stato
importato dal di fuori della Giudea nel mondo greco-romano e ad esso imposto,
ma almeno nella sua forma di religione mondiale è il precipuo prodotto di
questo mondo (greco-romano).
Bauer, aggiunge Engels, come tutti coloro che lottano contro pregiudizi radicati, tirò molto al
di là del bersaglio. Per fissare (anche letterariamente)
l’influsso di Filone e specialmente di Seneca sul
cristianesimo in via di formazione, e per presentare gli scrittori
neotestamentari formalmente come plagiari di quei filosofi, egli deve porre
l’origine della nuova religione circa mezzo secolo più tardi, ripudiare i
resoconti di storici romani che a ciò si oppongono, e in genere concedersi
forti libertà nei riguardi dell’esposizione storica.
Il cristianesimo, come tale, secondo Bauer
ha origine sotto gli imperatori Flavi (Tito Flavio Vespasiano: 69-79; Tito
Flavio Vespasiano: 79-81; Tito Flavio Domiziano: 81-96); la letteratura
testamentaria, solo sotto Adriano (117-139), Antonino (138-161) e Marco Aurelio
(161-180).
In tal modo, scompare presso Bauer,
qualsiasi sfondo storico per le narrazioni neotestamentarie su Gesù e sui suoi apostoli; esse si dissolvono in leggende
nelle quali le fasi di sviluppo interno e le lotte delle prime comunità
cristiane sono trasferite su figure più o meno fittizie.
Non
Da un solo libro del Nuovo Testamento, prosegue Engels si
può determinare il tempo della sua redazione, e questo è molto importante
per determinare ciò che era il cristianesimo primitivo di tutto il rimanente
Nuovo Testamento ben più tardo nella sua attuale redazione.
Questo libro è l’Apocalisse di Giovanni, apparentemente il
più oscuro di tutta
L’APOCALISSE DI GIOVANNI
Basta uno sguardo, scrive Engels, per convincersi del
carattere esaltato, non solo dell’autore, ma dell’ambiente in mezzo al quale
egli si muoveva.
Questa Apocalisse non è l’unica della sua specie e del suo
tempo. Nell’anno 164 prima della n.e., data la composizione del testo apocalittico più antico,
quello di Daniele e fino all’anno 250 n.e., data il
“Carmen apologeticum” di Commodiano
(mentre Renan di testi apocalittici ne enumera una quindicina), senza contare le
imitazioni).
Era quello il tempo in cui a Roma e in Grecia e ancor più
in Asia minore, in Siria e in Egitto,qualsiasi
mescolanza delle più crasse superstizioni delle popolazioni più diverse, veniva
accettata e integrata con più inganni e vero e proprio ciarlatanismo.
Era il tempo in cui miracoli, estasi, spiritismo, divinazione del futuro,
alchimia, cabala e altre forme di magia occulta esercitavano una funzione di
primo piano. Era questa l’atmosfera in cui era sorto il cristianesimo primitivo
e più che altro tra gente che aveva più di ogni altra orecchie aperte a queste
fantasticherie.
E gli gnostici cristiani d’Egitto, nel corso del II sec. n.e., come dimostrano
gli scritti dei papiri di Leida, si sono dati fortemente anch’essi
all’alchimia, accettando concezioni alchimistiche nelle loro dottrine.
I “mathematici” (astronomi) caldei ed ebrei, che secondo Tacito furono cacciati due
volte da Roma per magia, sotto Claudio e Vitellio,
praticavano quell’arte geometrica che ritroveremo
proprio nell’Apocalisse di Giovanni.
A ciò si aggiunga un altro elemento. Tutte le apocalissi
si attribuiscono il diritto di ingannare i propri lettori. Infatti, non solo
sono scritte da altre persone - per lo più di molto posteriori (p.es. il libro di Enoc, le apocalissi di Esdra, Baruc,
Giuda ecc., i Libri sibillini), ma profetizzano, nel loro prinicipale
contenuto fatti accaduti oramai da lungo tempo e perfettamente noti al loro
vero autore.
Così nell’anno 164 n.e., poco prima della morte di Antioco Epifane
(re di Siria, 215-163) l’autore del libro di Daniele, fa predire al preteso
Daniele, vissuto al tempo (e alla corte) di Nabucodonosor
(II, fondatore dell’impero persiano,VII sec. a.C.), l’ascesa e il tramonto
degli imperi persiano e macedone e l’inizio dell’impero romano, in modo da
predisporre il lettore, sulla base di questa prova, della sua sapienza
profetica, alla profezia finale, secondo la quale il popolo d’Israele supererà
tutte le tribolazioni e alla fine riuscirà vincitore.
Se l’Apocalisse di Giovanni fosse effettivamente opera del
preteso autore, aggiunge Engels, essa sarebbe l’unica eccezione fra tutta la
letteratura apocalittica. E’ possibile, in ogni caso, che l’autore sia l’apostolo Giovanni la cui esistenza storica non è
accertata ma probabile. E se questo apostolo fosse veramente l’autore, tanto
meglio per il suo punto di vista. Sarebbe la prova migliore per accertarsi che
il cristianesimo di questo libro è l’effettivo, autentico cristianesimo
primitivo.
Incidentalmente, conclude Engels, è bene notare che
l’Apocalisse non proviene dallo stesso autore del Vangelo e delle tre lettere
che sono attribuite a Giovanni.
LE VISIONI DELL’APOCALISSE
Le visioni apocalittiche che l’autore presenta, sono
interamente e per lo più letteralmente tolte a prestito da modelli precedenti.
In parte dai profeti classici dell’Antico Testamento, in parte dalle più tarde
apocalissi ebraiche, composte sull’esempio del libro di Daniele e in
particolare del libro di Enoc, già scritto allora, almeno in parte.
La critica ha dimostrato da dove il nostro Giovanni abbia
preso a prestito ogni immagine, ogni presagio minaccioso, ogni piaga riversata
sull’umanità, insomma l’intero materiale del suo libro, e, non solo, manifesta una povertà di
spirito tutta speciale, ma fornisce lui stesso la prova di non avere vissuto
neppure nell’immaginazione le sue pretese estasi così come le descrive.
L’Apocalisse consta di una serie di visioni, nella prima
delle quali appare Cristo vestito da sacerdote che cammina fra sette candelabri
che simboleggiano le sette comunità asiatiche e detta a Giovanni lettere per i
sette angeli di queste comunità.
Qui balza evidente la differenza tra questo cristianesimo e la religione
mondiale costantiniana del Concilio di Nicea.
La trinità non solo non è conosciuta, ma vi appare impossibile.
Invece del più tardo “spirito santo”, vi troviamo i “sette spiriti di Dio”
costruiti dai rabbini in base a Isaia (11,2), Cristo è
figlio di Dio - il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega - ma niente affatto Dio
stesso o uguale a Dio, anzi, al contrario “il principio della creazione di
Dio”, dunque una emanazione di Dio che esiste dall’eternità, ma subordinata
proprio come i “sette spiriti”.
Quanto a Cristo (15,3) egli appare non solo subordinato a Dio ma è persino posto, sotto un certo rapporto, allo stesso
livello di Mosè.
Cristo è crocifisso a Gerusalemme
(11,8) ma risorto (1,5,18) è l’agnello che è stato sacrificato per i peccati
del mondo e col cui sangue i credenti sono stati riscattati a Dio da ogni
popolo e da ogni lingua.
Qui troviamo l’idea fondamentale che ha reso possibile al
cristianesimo primitivo di continuare a svilupparsi come religione mondiale.
A tutte le religioni di allora, dei semiti e degli
europei, prosegue Engels, era comune l’opinione secondo la quale gli dèi offesi dalle azioni degli uomini potevano essere
riconciliati mediante sacrifici. La prima idea rivoluzionaria fondamentale del
cristianesimo (presa dalla scuola di Filone) era quella che mediante un grande,
volontario sacrificio di un intermediario, i peccati di tutti i tempi e di
tutti gli uomini venivano espiati una volta per sempre
(questo vale per i credenti).
Con ciò cadeva la necessità di ogni ulteriore sacrificio e
quindi il fondamento di una quantità di cerimonie religiose.
Venne così introdotto il sacrificio simbolico
della messa che in ogni caso fu ripresa dall’abitudine del sacrificio dei
popoli pagani.
Del dogma del peccato originale nell’Apocalisse (*) non vi
è traccia.
Dal libro e dalle lettere inoltre, l’autore non designa mai
se stesso o i suoi compagni di fede altrimenti che come giudei ai quali si riferisce quando indica “i figli d’Israele”. Ci troviamo
quindi di fronte a gente che non aveva la coscienza o la consapevolezza di essere cristiana,
ma si qualificava “giudea” con la conseguenza che il nostro auTore
del “
Vediamo dunque, prosegue Engels, che il cristianesimo di
allora non ancora cosciente di se stesso, era diversissimo dalla più tarda
religione mondiale, dogmaticamente fissata dal Concilio di Nicea; è impossibile
non riconoscere il primo dal secondo. Nel primo non esistono la dogmatica e
l’etica del secondo.
Qui non esistono né la dogmatica né l’etica del posteriore
cristianesimo ma in compenso vi è la sensazione di trovarsi in lotta e di dover
superare questa lotta.
A questo punto Engels intravede con lungimiranza, avendone
avuta semplicemente
l’intuizione, che relativamente alla lotta in seno alla comunità (o alle
comunità cristiane) questa lotta sarebbe stata dimostrata da nuovi
ritrovamenti. E infatti i ritrovamenti dei testi
gnostici (a Nag Hammadi nel
1945) hanno dimostrato che vi era stata una lotta feroce contro gli gnostici,
anch’essi cristiani, che aveva portato alla distruzione o alla eliminazione di tutti i loro testi.
*) Omettiamo l’esame di E., pur
interessante, sulle ulteriori visioni contenute nell’Apocalisse, circa la bestia
dalle sette teste, del numero 666 che riguarda Nerone (e non il diavolo come
successivamente interpretato ndr.) secondo
l’interpretazione cabalistica.
I MOVIMENTI CRISTIANO E
SOCIALISTA
Questi due grandi movimenti, precisa
Engels, non sono l’opera di capi e di profeti - benché in ambedue di
profeti se ne trovino abbastanza - essi
sono movimenti di massa.
E i movimenti di
massa sono al principio necessariamente confusi,
perché ogni pensiero di massa si muove dapprima tra contraddizioni, oscurità e
incoerenze, ma confusi anche per la parte che da principio vi hanno i profeti.
Questa confusione si manifesta nella formazione di
numerose sette che si combattono tra loro, almeno con la stessa violenza con
cui combattono il comune nemico.
Presso i primi cristiani troviamo la scissione in
innumerevoli sette, che era proprio il mezzo per arrivare ad una forzata
discussione e, attraverso questa, alla successiva unità.
E ciò lo riscontriamo
nell’Apocalisse in cui l’autore si scaglia contro di esse con la stessa
implacabile violenza con cui si scaglia contro il mondo peccatore.
Ecco in primo luogo i nicolaiti di Efeso e di Pergamo; quelli che dicono di essere giudei ma
sono della comunità di Satana, a Smirne e Filadelfia; i seguaci della dottrina
del falso profeta indicato come Balaam di Pergamo;
quelli che dicono di essere apostoli e non lo sono a Efeso; infine i seguaci
della falsa profetessa indicata come Gezabele a Tiàtira.
Di queste sette non veniamo a sapere niente di più
preciso; solo dei seguaci di Balaam e di Gezabele è detto che mangiano le offerte fatte agli idoli e
fornicano.
Si è cercato di individuare queste
cinque sétte come cristiani paolini, e tutte
queste missive come dirette contro Paolo,
il falso apostolo, il preteso Balaam e Nicola*.
I relativi argomenti sono affrontati da Renan (nel libro “Saint Paul”) e
tendono a spiegare le lettere per mezzo degli “Atti degli Apostoli” e le
cosiddette “Lettere paoline”, scritti che nella attuale redazione sono più recenti dell’Apocalisse per
lo meno di sessant’anni e i cui dati effettivi sono
non soltanto estremamente dubbi ma del tutto contraddittori tra loro.
*) Nicola si ritiene fosse uno dei
settanta discepoli di Gesù (menzionato
nell’Apocalisse di Giovanni), più probabilmente il nome è simbolico in quanto
deriva dalla traduzione greca di Balaam i cui
appartenenti alla setta “mangiavano cose sacrificate agli idoli e fornicavano”,
erano considerati i precursori degli Gnostici.
TRIBOLATI DISEREDATI E OPPRESSI
Le lettere sono soltanto l’introduzione al vero e proprio
tema del messaggio di Giovanni alle sette comunità dell’Asia minore, e
attraverso queste agli altri giudei riformatori dell’anno “
Fra quali persone, si chiede Engels, si reclutavano i
primi cristiani? La risposta:- Principalmente fra i
tribolati e gli oppressi, fra gli appartenenti agli infimi strati popolari,
come si addice a un principio rivoluzionario. E questi da chi erano costituiti?
Nelle città dai liberi decaduti, da gente proveniente da ogni
sorta di popoli simili ai “mean whites”
(miserabili bianchi) degli Stati schiavisti del sud; nei latifondi dell’Italia,
della Sicilia, dell’Africa; da schiavi nei distretti rurali delle province; da
piccoli contadini che precipitavano sempre più nella servitù per debiti.
Non vi era semplicemente una via d’uscita comune per l’emancipazione di tutti
questi rejetti. Per tutti il paradiso perduto era alle loro
spalle: per il libero, per lo schiavo catturato in guerra, per il contadino
povero che precipitava sempre più nell’asservimento per debiti di fronte agli
usurai.
Quale la via d’uscita che si offriva a questi uomini
asserviti, oppressi e impoveriti, che fosse comune a tutti i diversi gruppi
umani?
Questa via d’uscita si trovò, ma non in questo mondo: essa
poteva essere soltanto una via d’uscita religiosa. Si aprì un altro mondo.
La continuazione dell’esistenza dell’anima dopo la
morte del corpo era diventata a poco a poco un articolo di fede riconosciuto
dovunque nel mondo romano (non dimentichiamo la vita nell’oltretomba della
religione egiziana nda.). Anche una specie di
ricompensa e di punizione delle anime defunte per le azioni compiute in terra
era sempre più generalmente ammessa.
La ricompensa peraltro restava assai nel vago. L’antichità
era troppo schiettamente materialista per non attribuire alla vita terrena un
valore infinitamente più alto che alla vita nel regno delle ombre; presso i
greci la sopravvivenza dopo la morte era considerata come un guaio.
Venne allora il cristianesimo che prese sul serio la
ricompensa e la punizione nell’al di là, creò cielo e inferno, e si trovò la via d’uscita
che conduceva gli afflitti e gli oppressi da questa terrena valle di lacrime
nel paradiso eterno.
E in realtà, soltanto con la prospettiva di una ricompensa
nell’al di là era possibile innalzare la rinuncia al
mondo e l’ascetismo stoico-filoniano a principio
etico di una nuova religione mondiale che trascinasse le masse popolari
oppresse.
Quanto al monoteismo, Engels ritiene che per giungere al monoteismo, dall’Avesta di Zoroastro (testi
rivelati VI-IV sec.) in poi, questo aveva dovuto fare i conti con il
politeismo.
Infatti, presso gli ebrei l’apostasia verso déi materiali
pagani persiste cronicamente, finché dopo l’esilio, la corte celeste, su
modello persiano, adatta un po’ più la religione alla fantasia popolare. E lo
stesso cristianesimo, anche dopo che ebbe posto il misterioso Dio trino e uno -
differenziato in sé - in luogo del rigido Dio degli
ebrei, eternamente uguale a se stesso, potè eliminare
presso le masse popolari il culto dei vecchi déi, solo sostituendovi il culto
dei santi.
Infatti, secondo Fallmerayer, il
culto di Giove era scomparso nel Peloponneso, nella Maina
in Arcadia, solo intorno al nono secolo n.e. .
Soltanto l’epoca della borgesia
moderna, conclude Engels e il suo protestantesimo, tornano a eliminare i santi
e prendono finalmente sul serio il monoteismo differenziato.
IL PENSIERO DI BRUNO BAUER
Engels, nel commemorare la morte di Bauer
(1809-1882), scrive che egli pur avendo avuto, come filosofo e teologo una
certa influenza, moriva quasi dimenticato. I teologi ufficiali, compreso Renan, scrive Engels, lo copiavano e per questo di lui non ne parlano assolutamente. Egli infatti, aggiunge Engels, valeva più
di tutti loro, e più di loro ha lasciato
la sua traccia sulla questione dell’origine del cristianesimo.
Su questo argomento Engels cerca di fare il punto partendo
da una premessa. Una religione che ha sottomesso a sé l’impero romano, egli
dice, e che ha dominato per milleottocento anni, non si può liquidare puramente
e semplicemente spiegandola come un insieme di assurdità originate da
impostori. E si domanda:- Come accadde che le nuove
masse popolari dell’impero romano preferirono queste assurdità per di più predicate
da schiavi e oppressi, a tutte le altre religioni?
La risposta è data dalle ricerche di Bauer
che hanno portato alla conclusione che l’ebreo alessandrino Filone (
I numerosi scritti a noi tramandati sotto il nome di
Filone sono di fatto sorti da una fusione di
tradizioni allegorico-razionaliste ebraiche con la
filosofia greca, in specie stoica.
Questa conciliazione di concezioni occidentali e
orientali, contiene già in sé tutte le idee essenzialmente cristiane: la innata peccabilità dell’uomo;
il logos, la parola che è presso Dio ed è Dio stesso che fa da intermediario
fra Dio e l’uomo; la penitenza raggiunta non con sacrifici di animali ma con
l’offerta del proprio amore a Dio, infine il dato essenziale che la nuova
filosofia capovolge l’ordinamento del mondo sino allora esistente, cerca i suoi
apostoli tra i poveri, i miseri, gli schiavi e gli abietti e disprezza i
ricchi, i potenti, i privilegiati, ponendo al centro della sua dottrina il
disprezzo di tutti i godimenti mondani e la mortificazione della carne.
D’altra parte Augusto aveva fatto sì che non soltanto
l’uomo Dio, ma anche la cosiddetta immacolata concezione diventassero formule
prescritte in nome dell’impero.
Non soltanto egli decretò onori divini a Cesare e a se
stesso, ma fece anche diffondere la voce che lui, Augusto Cesare Divus, il divino, non era figlio di un padre mortale, ma sua madre lo aveva concepito dal dio Apollo.
Come si vede, manca soltanto la chiave di volta e l’impero
cristiano, nei suoi tratti fondamentali è completo: l’incarnazione del logos
fatto uomo in una determinata persona e il suo sacrificio espiatorio sulla
croce per la redenzione dell’umanità peccatrice.
Sul modo in cui questa chiave di volta sia
stata inserita nelle dottrine stoico-filoniane,
le fonti nulla dicono. E’ certo che essa non è stata inserita da filosofi
scolari di Filone o della Stoà.
Le religioni vengono fondate da
gente che avverte un bisogno religioso e si interessa dei bisogni religiosi
delle masse e questo non è di norma il caso dei filosofi di scuola. Mentre, in
tempi di generale dissoluzione (come oggi), troviamo la filosofia e la dognmatica religiosa appaiate in forma volgarizzata e
generalmente diffusa.
Se la filosofia greca classica nelle sue ultime forme
(specialmente della scuola epicurea), portava al materialismo ateistico, la
filosofia volgare greca portava alla dottrina del dio unico e dell’anima umana
immortale.
Allo stesso modo l’ebraismo volgarizzato razionalisticamente nella mescolanza e nei rapporti con
stranieri semiliberi, era giunto a trascurare le cerimonie della legge, a
trasformare l’antico dio nazionale esclusivo ebraico Jahvè,
nell’unico vero Dio creatore del cielo e della terra e ad accettare
l’immortalità dell’anima, originariamente estranea all’ebraismo.
Così la filosofia monoteistica s’incontrò con la religione
volgare che le presentava bell’e pronto l’unico dio.
Ecco preparato il terreno sul quale presso gli ebrei l’elaborazione
delle concezioni filoniane, altrettanto volgarizzate,
poteva generare il cristiannesimo e questo, una volta
generato, trovare accoglienza presso i greci e i romani.
Che il cristianesimo sia derivato
dalle concezioni filoniane volgarizzate, e non
direttamente dagli scritti di Filone, lo dimostra il fatto che il Nuovo
Testamento trascura quasi completamente la parte fondamentale di questi
scritti, cioè l’interpretazione allegorico-filosofica
delle narrazioni dell’Antico Testamento (e questo, precisa Engels, è un aspetto
che Bauer non ha considerato a sufficienza).
Per farsi un’idea delle caratteristiche del cristianesimo
nella sua prima formazione, basti leggere la cosiddetta Apocalisse di Giovanni
(già esaminata innanzi), un confuso, intricato fanatismo; di dogmi solo alcuni
accenni iniziali; della così detta morale cristiana, solo la mortificazione
della carne e invece visioni e profezie in quantità.
La completa elaborazione dei dogmi e dell’etica va
attribuita a un’epoca posteriore alla quale appartiene la redazione dei Vangeli
e delle c.d. Lettere apostoliche. E allora, almeno per la morale, venne utilizzata con disinvoltura la filosofia stoica e in
particolare Seneca.
Che le lettere spesso lo copino,
prosegue Engels, lo ha dimostrato Bauer; di fatto la
cosa aveva già colpito i credenti, ma essi se la sono sbrigata sostenendo che
era stato Seneca a copiare dal Nuovo Testamento (che
ai suoi tempi non era stato ancora scritto).
La dogmatica si sviluppò da una parte in collegamento con
la leggenda evangelica di Gesù allora in via di formazione,
dall’altra nella lotta fra cristiani giudaizzanti e
cristiani pagani.
Circa le cause che avevano portato
il cristianesimo alla vittoria e al dominio mondiale, Engels dice che
l’idealismo del filosofo gli impedisce di vedere chiaramente e manifestare con
acutezza le proprie idee, per cui egli dà la sua opinione fondata oltre che
sugli scritti di Bauer anche su studi indipendenti.
LE CONDIZIONI DELL’IMPERO ROMANO
Engels nell’esaminare le condizioni dell’impero romano sostiene che
in tutti i paesi sottomessi, la conquista romana aveva dissolto dapprima
direttamente le precedenti istituzioni politiche e poi indirettamente anche le
antiche condizioni di vita sociale.
In primo luogo in quanto poneva al posto della precedente
distribuzione dei ceti (a parte la schiavitù) la semplice distinzione fra
cittadini romani e cittadini non romani e sudditi. In secondo luogo, e
principalmente, attraverso le estorsioni operate in nome dello Stato romano
Sotto l’impero, alla frenesia di arricchimento dei
governatori, fu posto, per quanto possibile, un limite nell’interesse dello
Stato, ma al suo posto subentrò il torchio fiscale per il tesoro statale che
funzionava con sempre maggior forza e in modo sempre più esoso e questo
dissanguamento ebbe un effetto spaventosamente dissolvente.
In terzo luogo e ultimo, dappertutto si giudicava secondo
il diritto romano quindi furono annullati quegli ordinamenti sociali locali che
non si accordavano con l’ordinamento giuridico romano.
Queste tre leve dovevano agire come una immensa
forza livellatrice, specialmente se applicata per un paio di secoli a
popolazioni, la parte più vigorosa delle quali era stata sterminata o condotta
in schiavitù nelle lotte che avevano preceduto la conquista, che
l’accompagnavano e la seguivano.
I rapporti sociali delle province si avvicinavano sempre
più a quelli della capitale e dell’Italia. La popolazione si divideva sempre
più in tre classi eterogeneecomposte degli elementi e
delle nazionalità più disparate: i ricchi, tra cui non pochi schiavi liberi
(p.es. Petronio); grossi proprietari fondiari, usurai o l’uno e l’altro insieme
come lo zio del cristianesimo Seneca; liberi nullatenenti
che a Roma erano nutriti e divertiti dallo Stato e nelle province dovevano in
qualche modo arrangiarsi; infine la grande massa degli
schiavi.
Di fronte allo Stato, cioè all’imperatore, le prime due
classi erano altrettanto prive di diritti che gli schiavi di fronte ai loro
padroni. Specialmente da Tiberio a Nerone era di regola condannare a morte i
ricchi romani per confiscare i loro beni.
Sostegno del governo era materialmente l’esercito che
assomigliava molto più a un’armata di lanzichenecchi che all’antico esercito
romano di contadini.
Alla generale anarchia e alla disperata sfiducia nella
possibilità di condizioni migliori, corrispondeva un generale rilassamento e
avvilimento. I pochi vecchi romani ancora superstiti, di modi e sentimenti
patrizi, erano stati eliminati o si spegnevano: l’ultimo di loro fu Cornelio Tacito
(54-120 c.a., n.e.).
Gli altri erano contenti se potevano tenersi del tutto lontani dalla vita pubblica; l’acquisto e il
godimento delle ricchezze riempivano la loro esistenza, così come i
pettegolezzi e gli intrighi privati. I liberi nullatenenti che a Roma erano
pensionati dello Stato, nelle province si trovavano invece in una condizione
difficile. Dovevano lavorare, per di più in dura concorrenza col lavoro degli
schiavi. Ma essi erano limitati alla città. Accanto ad essi,
nelle province c’erano ancora i contadini, liberi proprietari del fondo (qua e
là con proprietà in comune), o come in Gallia, coloni
asserviti per debiti ai grandi proprietari.
Questa classe fu la meno toccata dal rivolgimento sociale
e anche il rivolgimento religioso oppose la più tenace resistenza (a questo
punto Enghels ricorda i contadini del Peloponneso che
nel IX sec., sacrificavano a Giove)
Infine gli schiavi senza diritti e senza volontà
nell’impossibilità di liberarsi (come aveva dimostrato la sconfitta di
Spartaco), essi stessi ex liberi o figli di nati liberi. Fra loro dunque,
doveva regnare un odio più che mai vivo, anche se impotente, verso l’esterno,
contro le proprie condizioni di vita.
I filosofi erano o semplici maestri di scuola o buffoni
pagati da ricchi crapuloni. Parecchi erano persino schiavi. Seneca
è un esempio di cosa essi diventassero nella buona
fortuna.
Questo stoico predicatore di virtù e di astinenze era il
primo degli intriganti alla corte di Nerone e ciò significava che non poteva
non essere servile: si faceva regalare denaro, poderi, orti, palazzi e mentre
predicava il povero Lazzaro del Vangelo, era in realtà l’uomo ricco della
stessa parabola (Luca 16,19-31). Solo quando Nerone volle la sua testa, pregò
l’imperatore di riprendersi tutti i doni, perché la sua filosofia gli bastava.
Soltanto pochi filosofi come Persio (Aulo Persio Flacco, 34-62) brandivano la sferza della satira contro i
degenerati contemporanei.
Quanto poi alla seconda specie di ideologi,
i giuristi, essi erano entusiasti delle nuove condizioni, perché la scomparsa
di ogni distinzione di ceti permetteva loro di elaborare in tutta la
larghezza il loro diletto diritto
privato, in cambio del quale regalarono poi all’imperatore il diritto pubblico
più sfacciato che sia mai esistito.
Infine, con le particolari
caratteristiche politiche e sociali dei popoli, l’impero romano aveva
condannato al tramonto anche le loro particolari religioni.
Tutte le religioni dell’antichità erano religioni naturali
di tribù e, più tardi, nazionali, germogliate dalle condizioni sociali e
politiche di ciascun popolo e con esse cresciute. Una
volta distrutte queste loro basi e spezzate le forme sociali che si erano
tramandate insieme con l’assetto politico tradizionale e con l’indipendenza
nazionale, la religione ad esse corrispondente crollò.
Gli dei nazionali potevano tollerare altri dèi nazionali
accanto a sé, e questa era la regola generale dell’antichità: ma non sopra di
sé.
Il trasferirsi a Roma dei culti religiosi orientali, nuoceva senza dubbio alla religione romana, ma non poteva
arrestare la decadenza delle religioni orientali. Non appena gli
dèi nazionali si rivelano incapaci di proteggere l’indipendenza e la libertà
della loro nazione, si rompono la testa da sé. Così accadde (tranne che fra i
contadini sulle montagne).
Quel che a Roma e in Grecia fece l’illuminismo della
filosofia volgare (“stavo per dire volterrianesimo”, precisa Engels), nelle province fu il risultato
dell’assoggettamento a Roma e della sostituzione di uomini fieri e liberi con
sudditi disperati e straccioni egoisti.
Questa era la situazione materiale e morale. Il presente
intollerabile; il futuro, se possibile, ancora più minaccioso. Nessuna via
d’uscita. Disperazione o salvezza nel più ordinario piacere sensuale per quelli
che almeno potevano permetterselo, ed era una piccola minoranza. Altrimenti non
restava che la stanca rassegnazione all’inevitabile.
Ma in tutte le classi doveva trovarsi una quantità di
gente che disperando in una redenzione materiale, cercava come surrogato una
redenzione spirituale: una consolazione della coscienza che preservasse dalla
completa disperazione.
Questa consolazione non potevano offrirla
E’ semplice capire che fra la gente che anelava a una tale
consolazione, il maggior numero doveva trovarsi fra gli schiavi. In mezzo a
questa generale dissoluzione, economica, politica, intellettuale e morale, si
fece avanti il cristianesimo in dichiarata opposizione di tutte le precedenti
religioni.
In tutte le precedenti religioni, l’elemento principale
erano le cerimonie. Soltanto con la partecipazione a sacrifici e processioni, e
in oriente con l’osservanza di minute prescrizioni di diete e di purezza, si
poteva dichiarare la propria affiliazione religiosa.
Mentre Roma e Grecia, sotto quest’ultimo
aspetto erano tolleranti, in oriente dominava una mania di divieti religiosi
che ha contribuito non poco alla decadenza finale. Persone di due diverse
religioni (egiziani, persiani, ebrei, caldei) non potevano
mangiare e bere assieme, né compiere assieme una qualsiasi azione: potevano appena
parlare assieme. L’antico oriente è in gran parte tramonatato
in conseguenza di questa separazione dell’uomo dall’uomo.
Il cristianesimo non conosceva nessuna di queste
restrizioni, causa di tante divisioni e neppure i sacrifici e le processioni del
mondo classico.
Respingendo così tutte le religioni nazionali e le
cerimonie ad esse comuni, si rivolge a tutti i popoli
senza distinzione e diventa essa stessa la prima religione mondiale possibile.
Anche l’ebraismo col suo nuovo dio universale aveva preso
l’avvio per diventare religione mondiale; ma i figli d’Israele restavano sempre
un’aristocrazia tra i credenti e i circoncisi; e lo
stesso cristianesimo dovette sbarazzarsi dell’idea della preminenza dei
cristiani giudaizzanti (che dominava ancora nell’Apocalisse
di Giovanni) prima di poter diventare una religione mondiale.
In secondo luogo il cristianesimo toccò una corda che
doveva trovare eco in innumervoli cuori. A tutti i
lamenti sulla malvagità dei tempi e sulla generale miseria materiale e
generale, la cristiana coscienza del peccato rispondeva: così è e non può
essere altrimenti; della corruzione del mondo sei tu colpevole, siete voi tutti la tua e la vostra corruzione interna!
Nessuno poteva rifiutarsi di ammettere la sua parte di
colpa nella sventura generale, condizione preliminare indispensabile per la
redenzione spirituale che contemporaneamente il cristianesimo annunciava. E
questa redenzione spirituale era presentata in modo tale da poter essere
facilmente compresa dagli adepti di ogni antica comunità religiosa.
A tutte quste antiche religioni era familiare l’idea del sacrificio espiatorio, mediante il
quale la divinità offesa veniva placata; come avrebbe potuto non farsi strada in questo ambiente l’idea del sacrificio dell’intermediario
che cancellava una volta per sempre i peccati del genere umano?
In quanto il cristanesimo
portava a una chiara consapevolezza del peccato da parte di ogni singolo in
base al sentimento diffuso secondo cui gli uomini sono essi stessi colpevoli
della conrruzione generale e contemporaneamente
offriva col sacrificio del suo giudice una forma facilmente comprensibile per
tutti della sospirata redenzione interiore del mondo corrotto e della
consolazione della coscienza, esso dimostrava di nuovo la sua capacità di diventare
religione mondiale: una religione in verità, adatta proprio al mondo che
esisteva allora.
Così è accaduto che tra le migliaia di profeti e
predicatori nel deserto che riempivano quell’epoca
con le loro innumerevoli innovazioni religiose, soltanto i fondatori del
cristianesimo aevano avuto successo.
Non soltanto
Grazie agli elementi indicati, vinse il cristianesimo. E
come esso, attraverso una selezione naturale abbia elaborato, a poco a poco il
suo carattere di religione mondiale, nella lotta delle varie sette fra di loro e col mondo pagano, lo insegna nei particolari
la storia della Chiesa dei primi tre secoli.
FINE
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